finalmente c'è

La perdita di tempo perfetta per chi non ha tempo da perdere

TpG: docz: Capitano contro Pirata: 11

UNDICESIMO CAPITOLO
Capitano Hornblower - Pirata Barbabigia: il tie -break

Nel quale si racconta della disfida Definitiva fra il Capitano Hornblower e il Pirata Barbabigia: il Tie-Break!

Eccoci arrivati alla ‘bella’.

Uccisi, squarciati, mangiati dagli squali, passati da parte a parte da una palla di cannone di passaggio, i due equipaggi erano kaputt.

Soli, in mezzo all’oceano bastardo, con un sole cane che picchiava a picco, si fronteggiavano il Capitano Hornblower e il Pirata Barbabigia.

Le loro navi erano deserte: tutti morti. I ponti: deserti. La furia della battaglia aveva spazzato via tutto: uomini cadaveri alberi vele barili cannoni timoni. Due gusci di noce, con la tolda tabula rasa, liscia e sgombra come un biliardo senza palle da biliardo. Le navi: vuote, sforacchiate, con ampi squarci nelle chiglie, la santabarbara ormai svuotata, la cambusa ormai deserta e le stive che imbarcavano acqua, con i topi che fuggivano per non fare la fine del topo, le polene un tempo donne fascinose e arrapanti ridotte a moncherini vegliardi, ormai ceppi per la stufa a legna (putagè, in dialetto piemontese).

E il silenzio. Che silenzio! Si sentiva il vento. Eppoi lo sciabordìo delll’acqua sulle chiglie. Eppoi una campana, in lontananza. Come nei film di Sergio Leone. Eppoi la musica di Ennio Morricone. Come nei film di Sergio Leone. Sembrava quasi di essere in un villaggio di minatori dell’Arizona, c’è lo scontro per il duello finale, ecco il vento che trascina un rotolo di rovi, l’insegna del saloon che cigola, un coyote che ulula lontano, una massaia che recupera il bimbetto e lo porta via dalla strada, un vecchio sdentato che scaracchia nella polvere, un cavallo che nitrisce, un silenzio irreale e una tensione mortale, rotta solo dalle grida del ragazzo che vende le granite e i lupini.

Il tutto in una magnifica mattina di giugno: laggiù, in Europa, il grano maturava nei campi, con i papaveri che rosseggiavano giulivi al caldo sole, le ciliege maturavano sui rispettivi alberi, i fichi cominciavano a venir fuori e l’aria era piena di odori d’estate, i ragazzi se la spassavano con le ragazze sui mucchi di fieno, grandi risate si accompagnavano a palpeggiamenti che erano ben più di una promessa d’amore, l’umanità si riproduceva, la vita proseguiva il suo ciclo, mentre invece loro si chiedevano che ci stavano a fare in mezzo al pacifico, a farsi la guerra come dei pirla, con gli squali che appena cadevi in acqua ti sbranavano in un amen, con gli abiti tutti sbrindellati dalla battaglia, con un vento gagliardo che spingeva le navi ormai ingovernabili nelle mani dei cannibali polinesiani, che stavano accorrendo in lontananza su grosse piroghe, che spingevano vigorosamente con le loro pagaie, con la bocca che gli sbavava dall’acquolina, e già sentivano il sapore della carne di europeo bollita con l’erba tupareia, un’erba amara e allucinogena con la quale servivano l’Europeo bollito con consommé di squalo, e più sentivano l’odore di carne fresca più pagaiavano con forza, e più si avvicinavano più gli Europei se la facevano sotto, e più se la facevano sotto più sudavano, e più sudavano più puzzavano, e più sudavano più facevano odorino, che il vento trasportava come una scia odorosa verso i famelici indigeni, e giù a pagaiare ancora più forte.

I due capitani avevano inoltre qualche leggero principio di disturbi intestinali, che comunemente danno origine a quello che familiarmente (e volgarmente) viene chiamata cacarella.

C’era un problema: chi vinceva vinceva, non c’è alcun dubbio, ma chiunque fosse stato il vincitore di lì a cinque minuti sarebbe stato sbranato dai polinesiani, e se anche si gettava in mare veniva mangiato dagli squali, e se anche fosse riuscito a raggiungere un’isola selvaggia lì vicino sarebbe morto di malaria, oppure sarebbe stato morso da un granchio peloso grosso come un bue, sarebbe stato ammazzato in una notte di luna piena da un pappagallo vampiro mannaro, sarebbe finito con il cranio fracassato da una noce di cocco che sarebbe caduta dalla più alta palma dell’intera Polinesia, sarebbe finito spazzato via da un ciclone tropicale di quelli che squassano tutto, oppure, infine, sarebbe vissuto duecento-trecento anni su un atollo deserto, nutrendosi di granchi e latte di cocco, sarebbe diventato vecchissimo e molto saggio, e poi un giorno sarebbero arrivati i francesi e gli avrebbero fatto un test atomico nel giardino di casa, e lui sarebbe evaporato a due-tre milioni di gradi, e sarebbe ricaduto come fall-out radioattivo sull’oceano e sui villaggi dei polinesiani, e sarebbe stato respirato da un innocente bimbo che pescava ricci nell’oceano, che sarebbe quindi morto di cancro di lì a poco.

Insomma, le prospettive non erano rosee in ogni caso.

Pressati dai polinesiani che incombevano, pressati dal sole porco che gli abbrustoliva il cranio, pressati dal crudele passare del tempo e dall’incubo dei tempi supplementari che incombeva, per non parlare della crudele lotteria dei rigori, pressati da tutto ciò, i due gagliardi marinai se la giocarono a birra e salsicce.

Il Capitano Hornblower cominciò con una birra. Il Pirata Barbabigia lo seguì,

>Transfer interrupted!!!

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