finalmente c'è

La perdita di tempo perfetta per chi non ha tempo da perdere

TpG: docz: Capitano contro Pirata: 4

QUARTO CAPITOLO
Vita a bordo dell’Invincible

Nel quale viene descritta, con sugose annotazioni ed edificanti dettagli, la vita a bordo della Invincible, il vascello capitanato dal Capitano Hornoblower (che, per chi non l'avesse ancora capito, è il 'buono' della storia)

La vita a bordo dell’Invincible si svolgeva gaia e spensierata, all'insegna del gaio e spensierato divertimento e della gaia e sana navigazione con il vento in poppa.

Alla sveglia della mattina, i baldi e giovini marinaretti si rassettavano le linde divise fornite dalla Marina di Sua Maestà, per l’Onore e la Gloria della Corona d’Inghilterra, per l’Onore e la Gloria della Camera dei Pari, e per l’Onore e la Gloria della Sorella del Presidente della Camera dei Pari, tale Beatrice la Sdraiona; i vispi regatanti si riavviavano le barbe curate (gli ufficiali), si riannodavano per bene il fazzoletto da corsaro che copriva la pelata (i marinai), e si grattavano via un po’ di rogna (i vili mozzi di vascello).

Eppoi tutti in riga. Li passava, paterno, paternalista, con modi paterni e fare paterno, il Capitano Hornblower. Ogni tanto, una pernacchia a 130 decibel (soglia del dolore per il timpano umano) si levava dalle righe, quale segno di scherzoso sdegno nei confronti di quella brava persona di Hornblower. "Cosa ci volete fare, sono ragazzi", diceva al Capitano in Seconda, che lo accompagnava nell’ispezione e gli faceva da scudo contro gli sputi e le caccole lanciate dall’equipaggio.

Poi, le solite cose. Qualche rude marinaio riparava il sartiame. Qualche altro rude marinaio lavava il ponte. Talaltri rudi marinai giocavano con i cannoni, e qualcunaltri lavoravano all’uncinetto.

Nel salone di bellezza, alacre era il lavoro del barbiere: puzzolenti marinai, tutti sotto il casco, spettegolavano amabilmente con i vicini, sfogliando rotocalchi illustrati o facendosi fare la pedicure.

Tornei di croquet sul ponte. Tornei di bocce alla baraonda. Tornei di scopa. Tornei di tressette col pollo. Tornei di pokerino col vincenzo da spennare. Tornei di giuoco dei cinque nocciuoli. Tornei di schiaffo del soldato. Tornei di insulto a pubblico ufficiale.

Esercizi di sollevamento pesi.

Corsi rapidi di ubriachezza molesta. Per imparare a reggere meno il possibile l’alcol, e dare in escandescenza con un nonnulla. Ottimo quando si vuol far colpo su una donna. Oppure quando si vuole diventare l’attrazione principale di un banchetto di nozze: si canta sguaiatamente già in chiesa, si segue il corteo nuziale con causando vasti ingorghi e scambi di carreggiata, si barcolla pericolosamente sul tavolo al ristorante e, gran guignol finale, l’immancabile tuffo nella torta degli sposi. E grazie a voi un giorno speciale diventerà indimenticabile.

Oh!, ve lo dico io, quelli sì che sapevano passarsela bene!

Il marinaio Pinketts aveva un hobby tutto suo: giocava a fare il gatto con il topolino. A tal uopo, acchiappava uno dei grossi ratti da riporto che scorrazzavano nella stiva, lo teneva per la coda, e giocava a stuzzicarlo. Il rattone puzzolente, incazzato nero, lo mordeva sul naso, procurandogli pressocché subitaneamente rabbia, leptospirosi, scorbuto e delirium tremens ora pro nobis. Il marinaio Pinketts, in preda a convulsioni spastiche e tetano fulmineo, moriva poco dopo. Fine del marinaio Pinketts. E fine del suo simpatico hobby.

Ogni tanto la monotonia del viaggio era interrotta da qualche avvenimento mondano, momenti di puro intrattenimento sano e gaio, che regalavano attimi di spensieratezza a quei marinai annoiati dal lungo viaggio: la serata Latino-americana con sangria-party, la le Sfilate Moda Uomo di Palazzo Pitti, polenta e merluzzo in allegria e compagnia, una sagra del Vin Grintòn, un Governo Berlusconi, e una volta perfino un ammutinamento.

Gli ammutinati si erano ammutinati perché non avevano niente di meglio da fare: il rancio a bordo non scarseggiava, le cuccette e i dormitori erano ben tenuti, non avevano né pulci né pidocchi, il servizio in camera era impeccabile, i velluti damascati e i pesanti tendaggi di taffetà delle cuccette erano passati con l’aspirapolvere tutti i giorni, e i buglioli per i bisogni dei marinai (di oro massiccio con intarsi di madreperla che componevano la faccia di Paperoga) venivano svuotati regolarmente dagli addetti al servizio. Unica pecca si poteva riscontrare nel Veuve Clicuot Ponsardin servito con il rancio: come ben sanno anche i fessi, lo champagne non va servito in coppe ma nelle flûte, in modo da permettere al perlage di svilupparsi appieno.

La storia delle coppe di champagne parve a tutti i marinai un buon pretesto per ammutinarsi: e dunque lo fecero.

Si ammutinarono in una magnifica mattina di aprile, alcune leggere nuvole scorrevano veloci nell’immenso cielo blu, con la primavera che era già una promessa d’estate. Gli uccellini sugli alberi facevano cip cip, festanti per il miracolo della natura che si risvegliava ancora una volta, dopo i rigori invernali. La marmotta usciva dalla sua tana, dopo il letargo, e ne approfittava per far pulizie: sbatteva i tappeti, passava la lucidatrice e rinvasava i gerani. I rudi marinai (ammutinati e non) erano in mezzo all’oceano mare, a miglia e miglia (nautiche o marine, poco conta) dalla terraferma, ma grazie a robuste dosi di rhum riuscivano comunque a scorgere, in lontananza, gli uccellini, gli alberi e le marmotte con l’aspirapolvere.

Gli ammutinati fecero le cose per bene: uccisero il capitano in seconda, presidiarono la santa barbara dove c’erano le munizioni, minacciarono di gettare i barili d’acqua dolce in mare e liberarono un cinghiale asfissiante per i ponti della nave.

Il capitano, appena saputo che c’era un ammutinamento a bordo, s’incazzò come una serpe. Aveva sempre trattato i suoi marinai come figli, ogni sera andava a rimboccarli le coperte e a dargli il bacino della buonanotte. Eppoi gli dava anche la paghetta settimanale, gli stirava le camicie. E sti fetentoni si ammutinavano. Porci maledetti zozzi. Adesso gli faccio vedere io, disse: armatosi di risolutezza e rabbia, smise di scaccolarsi, acchiappò spada e pistole e corse sul ponte.

Scatenò una repressione cruda e violenta: acchiappati e gettati nelle celle i vili traditori, come prima cosa gli diede due buffetti sulle guanciotte, eppoi una scamazza sulla nuca. Eh, quando ci vuole ci vuole!

Dopodiché gli fece bere del piombo fuso, accompagnato però da un bel bicchierozzo refrigerante di Brancamenta on the rocks: dopo tutto, non era così cattivo, il Capitano.

Infine il Capitano Hornblower, dopo aver dato in pasto ai pescicani gli ammutinati, si ritirò nella sua cabina e si fece due uova al tegamino.

E venne Natale. I marinai fecero l’albero di Natale sull’albero di trinchetto, e per l’occasione il Capitano Hornblower si vestì da Babbo Natale. I marinai andavano a fare i bambini gli consegnavano le letterine con i regali che volevano, e il Capitano passava a distribuire trenini, costruzioni Lego, Playstation, il Piccolo chimico, un reggicalze imbottito, un uovo sodo.

Il marinaio Eleleliah Eliah Golia Active Blu, predicatore di bordo nonché coscienza monitrice dell’equipaggio, cappellano di bordo e Sacro Custode della Cassa di Whisky, Quello Buono, aveva chiesto per Natale un gatto a nove code, onde poter fustigare ancora meglio i costumi di quei marinai, che erano pur al Servizio della Sua Eccellentissima Regina d’Inghilterra, che saranno pure stati Fedelissimi della Corona, dello Scettro e della dentiera della Regina, ma insomma erano pur sempre rudi marinai, e quindi il predicatore di bordo doveva pur fustigarli per bene.

Alla sera, ogni sera, prima che suonasse il “tutti a nanna”, prima che il capitano Hornblower passasse a dare il bacino della buonanotte, prima che tutti prendessero sonno, il predicatore faceva il suo memento mori. Parlava di: ricordatevi che dovete morire, cosa andate a dormire a fare se dovete morire, cosa vi alzate a fare la mattina se poi dovete morire, cosa combattete a fare per la regina dell’Inghilterra se poi dovete morire, cosa andata a comprare a fare il cotechino al mercato se poi dovete morire, cosa desiderate a fare le donne se poi dovete morire (quando il predicatore toccava questo discorso in questi termini, qualche mugugno di protesta cominciava a salire dalle amache, dalle stive e dai ponti), che cosa desiderate a fare copule peccaminose con donne bellissime dai capelli profumati e dai seni sodi e pieni se poi tanto dovete morire (il mugugno si trasformava in mugolio), a che pro immaginare di avere sterminate legioni di donne discinte e di facili ai vostri piedi che invocano la vostra libidine se poi dovete morire (si, si, ancora, ecco, il mugolio si trasformava in invocazione), che cosa obbedite a fare al vostro capitano se poi dovete morire (e qui, il mugolio s’ammutoliva, il capitano s’incazzava, uno stivale chiodato volava nella notte, il predicatore colpiva e tosto si taceva, e cadeva come corpo morto cade ).

Comunque, parlavamo del gatto a nove code, regalo di Natale per il Predicatore.

Appena l’equipaggio vide il gatto a nove code in mano al predicatore, fu chiaro che la misura era colma: un predicatore che fustigava i costumi a parole, passi, ma se adesso si metteva ad alzare le mani... indi per cui il predicatore fu sottoposto a un processo farsa, con una giuria corrotta e un giudice improvvisato (nella persona di Old Ugly, Lurid Bastard and Fetid Ned, il nemico numero uno del sapone), la sentenza in modo affrettato e sicuramente fraudoento, e grazie a questa giustizia sommaria ma efficace il predicatore fu gettato ai pescecani, che lo fecero a polpette.

Però, adesso che erano senza predicatori, la sera i marinai non sentivano più la favoletta della sera, con tutte quelle donne nude, e si addormentavano senza sogni, cullati dall’oceano, un’immagine molto suggestiva ma poco erotica.

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